Un tempo bastava avviare una semplice iniziativa di CRM (cause related marketing), finanziando una associazione non profit o un progetto in Africa, magari in abbinamento alla promozione di prodotto; venivano raccolti un po’ di fondi, si investiva una cifra spesso ben maggiore per pubblicizzare la (buona) azione e il gioco era fatto. In questo modo si poteva aspirare a entrare nel gruppo delle aziende etiche. Poi le cose sono cambiate: disastri ambientali, scandali finanziari, lavoro infantile, mobbing, prodotti dannosi per la salute, OGM e così via, hanno generato una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica e dalla “corporate philantrophy” si è passati alla “corporate social responsibility” (CSR). Dalle aziende si è cominciato a pretendere qualcosa di più: fare meglio il proprio mestiere, evitando ogni di generare danni.